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Corrispondenze incontri e scontri tra cinema letteratura e altri mondi

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Il sacro Gra

Non è una passeggiata quella che si affronta entrando nel Gra. Ne Il sacro Gra

Il Grande Raccordo Anulare che avvolge Roma come un anello , come una sorta di nuovo limes , è il grande fato che soprassiede come una divinità stanca e silente l’avvenire delle cose nel film di Gianfranco Rosi. Vincitore della settantesima edizione del festival di Venezia è una sorta di documentario che illumina brevi stralci di vita reale.

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Il barelliere del 118 che vive in solitudine rotta solo dalla chat e dal rapporto con la madre malata.
Il nobile che affitta la sua proprietà a convegni e per ambientazione di fotoromanzi. 
Il pescatore di anguille sul Tevere. 
Il colto e anziano padre che vive assieme alla figlia in un monolocale.
Le cubiste di un triste bar notturno.
Le prostitute.
E ancora altro.
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Il tutto illuminato da magiche albe liquide, visioni notturne di una Roma anonima, paesaggi campestri spezzati dal continuo trascinarsi delle auto sull’asfalto, unica vera colonna sonora del documentario. 
E infine la morte. Terrificante presenza evocata dalla riesumazione di vecchi cadaveri da un anonimo cimitero destinati ad una sorta di fossa comune le cui croci vengono coperte da una lenta neve. 

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Il sacro Gra quindi non è una passeggiata. Anzi è una esperienza estrema anche per un documentario. Non è facile addentrarsi in polaroid sfocate di vita tanto reale quanto anonima. Fredda ma intensa, ne dolce ne amara ma fotografata da questo film facendola emergere dal altrimenti irrimediabile oblio.
Semplicemente piegata e assorbita come pulviscolo atmosferico nel continuo circolare del Gra. 

Il ritorno del mostro

Quando si parla di un certo tipo di cinema si è costretti per forza di cose a tirare in ballo questioni storiche e sociologiche . Anzi sono proprio le suddette tematiche ad emergere spontaneamente da tali pellicole.

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Che il genere catastrofico racconti da sempre paure, incubi apocalittici e desideri di autodistruzione è evidente ma lo fa in maniera differente in base ai contesti storici.
A ben guardare  per anni il cinema americano ha riconosciuto la catastrofe sopratutto nell’esperienza delle calamità naturali. Vedi L’inferno di cristallo oppure L’avventura del Poseidon .
Finite le paure nucleari sempre esorcizzate dal mito dell’imbattibilità della nazione si riaffacciano strane e indefinite minacce che prendono forma in tematiche da fantascienza classica come per il caso di Independence day.
Con il tempo le paure archetipiche si fanno più profonde con disastri di portata globale plausibili e possibili come l’impatto asteroideo di Deep impact o Armageddon. 
Si è costretti a considerare un evento storico riconoscibile come spartiacque nella percezione collettiva americana, ovvero l’11 settembre come definitivamente influente anche nel cinema catastrofico.
Cloverfield rappresenta perfettamente in terrore incontrollabile e incomprensibile che piomba nella città. Le esplosioni riprese dalla telecamera amatoriale ricordano direttamente e immediatamente la New York sotto attacco da qualcosa di devastante e fino ad allora sconosciuto che assumo qui l’aspetto di una creatura Lovecraftiana.

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Il senso di paura diffuso non è mai stato cancellato e al massimo si è trasformato in qualcosa di più concreto e in qualche modo controllabile .

Le angosce si aggiornano e non è un caso che il nuovo Godzilla rievochi terremoti e incidenti nucleari guarda caso proprio in Giappone.
L’acquisizione dei diritti del mostro giapponese, protagonista dell’immaginario distruttivo di un giappone che la morte e la distruzione ha dovuto  provarla sulla propria pelle durante la seconda guerra mondiale, rappresenta il ritorno un una figura classica del cinema fantastico e tenta di far dimenticare l’orribile remake di Emmerich del 1998. Lo fa conservando la tradizionale lotta tra kaiju recuperando quindi parte della tradizione stessa del cinema giapponese. D’altra parte Godzilla nasce esplicitamente come allegoria della distruzione nucleare e in senso ampio della devastazione della guerra, diventando poi una creatura che incarna autonomamente le paure apocalittiche in generale e questo reboot ricostruisce perfettamente le ansie di questi primi 15 anni del secolo includendo però il concetto abbastanza inedito di natura equilibratrice che porta con se una sorta di speranza nonostante gli sforzi e la presenza stessa del genere umano.

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Hellraiser OST

Colonna sonora originalmente commissionata al progetto esoterico-musicale COIL respinta dalla produzione essendo giudicata troppo ostica

Elogio dell’action movie

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Il recupero doveroso della dignità del cinema di genere ha ormai ricollocato al giusto posto una enorme quantità di film dimenticati, accantonati negli anni o giudicati con sufficienza . E’ quest’ultimo il caso di un macrogenere che ha riguardato esclusivamente gli Stati Uniti , raccogliendo in se caratteristiche e luoghi comuni connaturali allo stile di vita e ad ossessioni tipicamente americane ma evidentemente ben esportabili.
L’action movie è un cinema di grande successo durante gli anni ’80 e anche oltre. Sotto questa categoria in realtà cadono una lunga serie di stili e atteggiamenti cinematografici con il denominatore comune del largo uso di aggressività, violenza e sparatorie.
Ad oggi l’action movie fa sorridere per l’esasperazione e per la caratterizzazione dei soggetti tipici, ovvero i vari Seagal, Stallone e Schwarzenegger.  A suo tempo l’action movie faceva sorridere per il divertimento più che per sensazione di superiorità antropologico-cinematografica o per l’aspetto “sempliciotto” delle storie. Il vero recupero del macrogenere in questione passa attraverso la riconsiderazione di quest’ultimo approccio.
E’ difficile tentare di ricostruire una filmografia essenziale ma personalmente partirei da un film che paradossalmente è  fuori dalla categoria dell’ Action movie.
Predator è un cult sci-fi estremamente oscuro che riporta sullo schermo in salsa survival e violenta la paura dell’alieno ostile. A contrastare le operazioni dell’alieno predatore caduto sulla terra c’è uno Schwarzenegger in grande forma, armato fino ai denti, perfetto nella parte dell’ex maggiore dei berretti verdi mandato a gestire situazioni disperate. Il saluto tra Schwarzenegger e Carl Weathers con forte stretta di mano e primo piano sull’esplosione muscolare dei bicipiti dei due rende sufficientemente caratterizzato il personaggio testosteronico tanto da far collocare Predator nel calderone dell’action movie honoris causa.

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Di Schwarzenegger pero’ i veri action movie sono altri, come Commando e Codice Magnum dove avviene uno spregiudicato uso di armi e strumenti bellici distruttivi. L’eroe solo contro tutti dalla furia e dalla freddezza implacabile da il suo massimo nel momento in cui si compie giustizia e vendetta ( concetti che spesso in questi film si accomunano) verso i villain, entità chiave nella mentalità americana. Nel primo il colonnello John Matrix, in congedo dall’esercito ed ebetizzato dalla vita serena con la figlia torna ad essere una macchina di morte spietata dopo il rapimento della stessa. Molto violento e quindo scomparso dai palinsesti. Una volta lo davano in prima serata.
Nel secondo un agente dell’FBI messo a gestire il crimine di un paesino di provincia dopo essere stato costretto alle dimissioni per essersi arrogato il ruolo di giustiziere si ritrova coinvolto in complicazioni con la mafia.
Ovviamente Schwarzenegger è una icona totale dell’action movie ed è protagonista di quello che forse è l’ultimo grande action classico, girato abbastanza fuori tempo massimo da un genio del cinema commerciale ovvero James Cameron , capace di riconoscere tutte le caratteristiche paradossali dell’action stesso e condensandole in un colossal andrenalinico e divertentissimo. Si tratta di True Lies. Ci sono tutte le caratteristiche dall’ironia della doppia vita della spia Schwarzenegger al terrorista Islamico che minaccia gli USA. La scena del bacio con esplosione atomica sullo sfondo è di per se un manifesto.

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L’eroe dell’action movie è quello che il maschio medio in fondo vorrebbe essere. Capace di azioni eroiche disinteressate, rude e sempre in lotta con la vita. Un personaggio per lo più letterario che si incarna perfettamente nella saga di Die hard.
John McLane (Bruce Willis) è un poliziotto dall’atteggiamento stile Cow Boy alla John Ford che si trova implicato in una serie di sfortunati eventi che lo portano spesso ad avere a che fare con attentati terroristici e ostaggi da salvare. Esplosioni e sprezzo del pericolo rendono la serie Die Hard ( i primi tre episodi almeno ) un caposaldo dell’action movie.
Bruce Willis interpreta anche un altro action fondamentale ovvero L’ultimo boy scout. Anche qui un poliziotto scomodo e ad un passo dall’alcolismo fa scoppiare un casino a Los Angeles. Niente di più, quindi un capolavoro. In questo film tra le più esplosive battute da duro mai registrate. 

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L’apice della figura del poliziotto scomodo si raggiunge a mio avviso con Cobra interpretato da Stallone. Il tenente Cobretti è un poliziotto dai metodi quantomeno spicci e violenti che si trova ad avere a che fare con una sorta di setta adoratrice della violenza pura e senza scopo. Tanto violento e duro da essere completamente scomparso dagli annacquati palinsesti Tv di oggi, è un esempio di action movie riguardante l’ordine e la giustizia dalle mani legate. In questo tipo di film la violenza connaturata alla società americana ( l’uso della armi, la giustizia dal pungo duro) trova la propria manifestazione ideale in personaggi come Cobretti.
Nel marasma di film con protagonista il monoespressivo Steven Seagal, Trappola in alto mare e Trappola tra le montagne rocciose aventi protagonista Casey Ryback , Navy Seal ultra referenziato ma degradato al ruolo di cuoco dati i problemi di disciplina, sono tra i più rappresentativi dell’attore. 
In Trappola in alto mare un ex agente della CIA dall’aspetto Springsteeniano evocante una sorta di lato oscuro e rude del movimento di protesta degli anni 60/70  impersonato da un grandioso Tommy Lee Jones, si impossessa della nave dove Ryback è imbarcato minacciando un attacco agli Stati Uniti con le armi atomiche di cui è dotato il mezzo. Arti marziali, armi pesanti ed eroismo esasperato sono la salsa che rende rappresentativo questo tardo action dei primi anni ’90. Il seguito più modesto, con effetti visivi e fotografia confondibili con un qualsiasi episodio di McGyver, riscuote un grande successo al botteghino rispetto all’investimento e dimostra come la formula dell’eroe armato e non avaro di proiettili contro il folle villain ( in questo caso interpretato da un cinico Bogosian che minaccia il mondo con un satellite killer) è una formula che conquista la voglia di cinema semplice e attivo continuando imperterritamente a trasfigurare il mito collettivo del male assoluto quale caratteristica sine qua non della mentalità americana.
Esiste anche un caso dove l’ossessione trasformata in celluloide diventa profezia . Il film Danni collaterali dove Schwarzenegger perde la famiglia a seguito di un attentato terroristico sulle città americane da parte di un misterioso criminale sudamericano anticipa di poco il tragico evento dell’ 11 Settembre e proprio a causa di questa coincidenza vede un rinvio delle uscite nelle sale. Questo anche a conferma di come l’action sia un genere fortemente americano e nonostante l’enfasi e l’aspetto caricaturale incarni perfettamente le paure e le ansie dell’americano medio.
A concludere questa breve e fortemente incompleta panoramica c’è , come per l’inizio, un film che non riuscirei mai a catalogare nel cinema di genere e quindi nemmeno nell’action anche se passa alla storia come l’icona tipica di questo mondo cinematografico. Si tratta di Rambo.
Lo storico film di Stallone è un drammatico racconto di una provincia americana che si trova di fronte gli effetti della guerra in Vietnam e riaccogliendone i reduci non riesce a riconosce i drammi umani che essi hanno vissuto continuando ad idealizzare i cosiddetti valori americani e trovandosi preda della xenofobia ( termine che odio ma per una volta è usato a proposito) nel non incontrare più la diversità della propria gioventù tornata sconfitta dentro. Rambo è l’eroe dolente che porta la guerra in casa agli americani diventati un muro di fronte alla tragedia . Troppo drammatico per essere un vero action e troppo dolente per essere un vero drammatico , Rambo porta in azione quello che sarà rappresentato poi da film come Nato il quattro Luglio.
I vari epigoni del genere come Mercenari e Mercenari 2 non rendono realmente giustizia ai vecchi cult calcando troppo la mano sulla caricatura dell’action hero e ricadendo quindi sul gioco percettivo di una sorta di superiorità antropologica dello spettatore.

filmografia essenziale in ordine casuale

Die hard – Trappola di cristallo (1988)

Die hard – 58 minuti per morire (1990)

Die hard – duri a morire (1995)

Predator (1987)

L’ultimo boy scout (1991)

Trappola in alto mare (1992)

Trappola tra le montagne rocciose (1995)

Cobra (1986)

Commando (1985)

Codice magnum (1986)

Harley Davison & Malboro man (1991)

Danko (1988)

Arma letale (1987)

True lies (1994)

Rambo (1982)

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Wes Anderson : mondo naif

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Non è mia intenzione fare recensioni di film appena usciti anche perchè non è questa la mission del blog ma non posso non parlare di Grand Budapest Hotel .

Tanto per cominciare devo dire che Wes Anderson è diventato una certezza per quello che dovrebbe essere un regista di cinema: Altamente riconoscibile in fatto di stile, estremamente concentrato nel curare gli aspetti della propria estetica. L’uscita di un suo film è una gioia per chiunque ricerchi lo stupore innocente e la bellezza di un cinema fatto come si faceva una volta pur essendo assolutamente moderno.
Grand Budapest Hotel è una velocissima matrioska temporale che va subito a dilatarsi per tutto il film nella parte centrale della storia ambientata in un ideale luogo di un altrettanto ideale periodo storico corrispondente all’inizio della guerra mondiale sullo sfondo di una poetica mitteleuropa. Il predecessore Moonrise kingdom era interamente concepito attorno al microcosmo di una isola inesistente del New England dove la fuga d’amore di due ragazzini è il pretesto per rimettere in scena un immaginario estetico in bilico tra i colori degli anni ’60 e le scenografie dipinte dei teatri delle scuole. Questa volta pero’ il quadro si allarga e fa correre i pittoreschi personaggi tra enormi hotel, prigioni angoscianti e inarrivabili vette innevate.
Gli angoli angusti, il legno pulito delle stanze costruite con cura e spazi magici evocano facilmente scenari di favole naif e in qualche modo gli stessi mondi concepiti dagli stop-motion di Svankmajer.

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Grand Budapest Hotel è una sorta di giallo fatto di fughe, furti e inseguimenti messo in scena come in un enorme teatro di burattini dove scenografie dipinte e ambienti di cartapesta sono l’elemento estetico caratterizzante il cinema positivo di Anderson capace di rievocare lo stupore di bambino nell’adulto spettatore capace di distinguere il dramma e la farsa indistintamente mescolati nel mondo naif disegnato da Anderson. Ed è proprio un espressionismo naif quello che viene dipinto nei cieli colorati e nelle luci tremolanti dei primi piani da film muto. Tutto questo nonostante in Grand Budapest Hotel si rincorrano dipinti di Klimt e Schiele.
Questa volta la storia necessita di villain, solitamente assenti nei lavori di Anderson , ma la capacità di sospendere il giudizio rinchiudendo i protagonisti in un mondo parallelo fatto di ironia e fantasia rende anche i cattivi in qualche modo sottoponibili al perdono.
Certo, forse quello di Anderson è un cinema vagamente hipster ma è anche un cinema del quale sentire la mancanza nel momento in cui iniziano i titoli di coda.

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Vij

stralcio dal film horror russo del 1967 “Vij”